FORZA LICATA

Trekking Centro Storico

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view post Posted on 21/8/2010, 18:30
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Tifoso Doc

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Licata provincia della valle del salso

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Viaggio nel tempo tra storia e miti del Centro Storico
Il percorso di Trekking del centro storico rappresenta un vero e proprio un viaggio nel tempo che farà vivere agli escursionisti la storia incredibile di questa città.

Si parte da Piazza Progresso dove è possibile ammirare il Palazzo di Città; la denominazione PALAZZO DI CITTA’ non è casuale ma è stata voluta dai lungimiranti amministratori dell’epoca per rendere l’idea di un Municipio a disposizione del popolo. Questo complesso, costituito dalla torre dell’orologio civico e dal municipio venne realizzato dal famoso architetto Ernesto Basile. Le campane dell’orologio, contenute da una gabbia in ferro battuto, risalgono al 1777 e provengono dall’orologio seicentesco che si trovava nella torre del cosiddetto Castel Nuovo, uno dei tre castelli di Licata. Arrivare alla sommità della torre è possibile attraverso una bellissima scala a chiocciola di pregevole fattura architettonica.

Il viaggio nel tempo inizia e finisce qui; infatti il Palazzo di Città è posto sul confine delle mura della antica città greca e sul punto di partenza dell’espansione cittadina dei tempi moderni.

La prima sosta è dinnanzi a quello che probabilmente è il più sontuoso dei palazzi costruiti all’inizio dell’800 appena fuori le antiche mura della città. Edificato in elegante stile Liberty con colonnato nella parte centrale, rappresenta l’ala avanzata è più moderna del retrostante ed antico palazzo CANNARELLA. Il contatore del tempo ci porta al periodo dello sbarco di Garibaldi in Sicilia: infatti, sbarcato Garibaldi a Marsala, Licata insorge al suo fianco ed invia un proprio drappello di uomini armati al seguito del Generale il quale manda in visita a Licata Ciro Menotti e Nino Bixio; costoro furono ospitati nella notte del 20 luglio 1860 proprio nel palazzo del marchese Cannarella.

Da qui, passando per l'antico borgo di San Paolo, si raggiunge una splendida opera idraulica ipogea di età pre-ellenistica denominata LA GRANGELA, attorno alla quale ruotano tantissime leggende. La Grangela è la più importante e meglio conservata opera di questo tipo, tra tutte quelle che nei secoli sono state costruite sulle falde del monte Sant’Angelo. Si tratta di un pozzo filtrante che doveva fornire l’acqua all’antica città. Si estende verticalmente per 12 metri e continua poi in un vano che attraversa la roccia con una piccola galleria alta 2 metri e lunga 7. Sul fondo della vasca sono presenti tre fosse cui giunge l’acqua raccolta attraverso quattro cunicoli di captazione che si estendono all’interno della roccia non si sa per quanta lunghezza. Si pensa che tali cunicoli siano più di 4, che siano percorribili e che si estendano fino al Castello e al cimitero dei Cappuccini, al porto e addirittura fino a mollarella (15 Km da qui). Per questo la Grangela rappresenta per i licatesi un luogo del mito, e ad essa sono legate diverse leggende e racconti ispirati a culti religiosi perpetrati all’interno finanche alle proprietà afrodisiache dell’acqua in essa presente.

Dalla Grangela è possibile raggiungere facilmente la “THOLOS”, sempre in pieno centro storico. Fino a poco tempo fa era ritenuto un grande silos atto a contenere il grano che veniva commerciato in gran quantità tramite il porto di Licata. Recenti studi, invece, attribuiscono a questo sito la matrice di Tomba e precisamente si tratterebbe della tomba del Re Cretese “MINOSSE” che, venuto a Licata in visita, sarebbe deceduto per un incidente e qui sarebbe stato seppellito. La deduzione deriva dall’analisi di alcune scritte presenti sulla volta della “Tomba” e sulla parete di una porta ora murata. Infatti, da un’analisi anagrammatica delle scritte si risalirebbe al nome Minos, appunto “MINOSSE”.

Attraverso una stretta viuzza denominata Salita Milazzo si sale verso Piano Quartiere. In questa area sorgeva un castello edificato a difesa della muraglia di ponente. Fu distrutto dai turchi nel 1553, si riesce a scorgere ancora ciò che resta delle mura di questo glorioso castello denominato Castel Nuovo. Ciò che restava in piedi venne acquistato dalla municipalità licatese nel 1604 che lo trasformò in Quartiere per i soldati della fanteria spagnola di Comarca a cui Licata era a capo. Terminate le incursioni barbaresche il Quartiere venne smilitarizzato e abbandonato fino a che, nel 1897 il comune ordinò la totale distruzione degli ultimi edifici rimasti in piedi, compreso la torre dell’orologio civico che vi era stato collocato nel 1863 (le quali campane successivamente vennero collocate sulla torre del municipio).

Ci si addenta, attraverso la caratteristica SALITA DELLE CAPRE, nel antico quartiere Marina, detto anche Quartiere Arabo. La vecchia Marina resta oggi importante soprattutto per il suo antico e tortuoso impianto viario, rimasto completamente invariato, caratterizzato in generale da viuzze e da numerosi cortili e piccoli pianori. Al suo interno sono collocate diverse attività consorziate. Il quartiere è formato da strettissime viuzze sulle quali si affacciano dei balconcini molto bassi. Il motivo di queste vie così strette è dettato dal bisogno di difesa che c’era all’epoca delle tante invasioni che venivano dal mare. Infatti gli invasori ingabbiati in queste strette viuzze erano alla mercè dei licatesi che si difendevano buttando addosso ai loro nemici dai balconi dell’olio bollente. La rappresentazione di questa antica metodologia di difesa rivive ogni anno a Maggio e ad Agosto durante le due rappresentazioni della festa del Santo Patrono Sant’Angelo che la tradizione vuole inseguito dai Saraceni invasori per queste viuzze e difeso con il getto dell’olio bollente. Durante la festa, l’argentea bara del Santo portata a spalla dai marinai scalzi e preceduta da una miriade di ragazzini che corrono e urlano per liberarle la strada entra nel quartiere Marina percorrendo la via Sant’Andrea e, durante il suo passaggio, dai balconi le vengono buttati addosso dei petali di rose che simboleggiano l’olio bollente. E proprio nel mezzo della via Sant’Andrea, che rappresenta la prima vera strada costruita dagli Arabi, si trova la casa dove tradizione vuole che dimorò il Santo Patrono della città: Sant’Angelo.

Di fronte alla casa del Santo si ammira lo splendido portale del Palazzo PLATAMONE; del suo sontuoso prospetto oggi resta pochissimo: due poggioli sull'angolo con via donna Agnese con possenti mensoloni terminanti con maschere grottesche, due balconi lungo la via Sant'Andrea sorretti da un unico poderoso mensolone per parte, l'elegante portale dell'ingresso in conci di tufo, finemente scolpiti, smontato pezzo per pezzo in un periodo imprecisato dello scorso secolo per rimetterlo in asse, una volta tagliata una parte del grande androne coperto dal quale si è ricavato un vano al piano terra, con il nuovo ingresso. In corrispondenza della chiave dell'arco stanno le armi araldiche della famiglia Platamone sormontate dalla corona di barone.

L’andamento curvo della via Sant’Andrea dà l’idea di un recinto o di un fossato a protezione dell’antico abitato; anche questa soluzione architettonica, comune anche alle altre viuzze della Marina, fa parte dell’impianto difensivo del quartiere. Infatti, l’andamento curvo dava la possibilità a chi fuggiva correndo di evitare con più facilità le frecce del nemico che, naturalmente, non curvano.

Si giunge davanti alla chiesette di San Girolamo, dal 1578 oratorio e sede della Confraternita della Misericordia che la mantiene ancora oggi. La chiesa custodisce inoltre i sacri legni del cristo crocifero, il Cristo deposto, l’urna lignea e le croci del Calvario utilizzate per la ricorrenza del Venerdi Santo. Infatti da qui la notte del Giovedì Santo parte una sentitissima processione dove si percepisce un ‘atmosfera di sommessa penitenza: i confrati della confraternita sorreggono una delle due statue del Cristo adagiata su un feretro e coperto da un telo nero. Questo Cristo verrà portato all’interno di un sontuoso palazzo a fianco del calvario in attesa di essere messo in croce al posto del Cristo incatenato che sfila il Venerdi Santo per le vie cittadine.

Altra sosta obbligata davanti alla casa di ROSA BALISTRERI, probabilmente una tra le più importanti cantanti folk siciliane del secolo scorso. Rosa Balistreri mori nel 1990 e visse l'infanzia e la giovinezza nella miseria e il degrado sociale nel quale a quei tempi versava il quartiere della Marina. Fin da bambina si dedicò alle più umili attività: servì presso le case di famiglie benestanti e andò a lavorare nella conservazione del pesce nel quartiere Salato, In queste difficili condizioni, Rosa scaricava la sua rabbia e il suo disagio cantando a squarciagola lungo le stradine della Marina. A sedici anni fu data in sposa a "Iachinuzzu", che lei durante un suo spettacolo a Licata, definì "latru, jucaturi e 'mbriacuni". La vita matrimoniale fu ancora più misera e degradante di quella trascorsa nella sua famiglia d'origine, tanto da portarla, in preda alla disperazione, ad aggredire con una lima il marito nella casa di via Martinez, in seguito alla scoperta della perdita al gioco del corredo della figlia. Credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi dai carabinieri, affrontando anche la galera. Superati questi dolorosi avvenimenti per Rosa iniziò una periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi, con cui visse per dodici anni, che le diede tanto amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell'arte. Tra i tanti conobbe Mario De Micheli che, estasiato della sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi, evento che segnò l'inizio della sua vita artistica. Conobbe e recitò con Dario Fo’. Nel 1973 partecipò al Festival di San Remo. Negli anni ottanta recitò con Anna Proclemer .Canto e recitò la canzone folk in tutti i teatri del mondo.
 
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