FORZA LICATA

STORIA DI LICATA

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view post Posted on 9/4/2010, 17:47
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Tifoso Doc

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breve storia di Licata

Secondo la più recente storiografia, la città di Licata sarebbe stata fondata nel 282 a.C. da Finzia, tiranno di Agrigento, che, distrutta la vicina Gela, vi trasferì gli abitanti e persino le iscrizioni pubbliche. Finziade sarebbe stato il nome della nuova città che gli antichi descrivono opulenta per i suoi fori e splendente per i suoi templi. Ipotesi questa da sempre contestata dagli studiosi licatesi che, invece, ne attribuiscono le origini alla ricca e potente colonia greca Gela, fondata da Antifemo di Rodi e da Entimo di Creta nel 690 a.C. Questa discendenza fu messa in dubbio nel 1619 da Filippo Cluverio che tali origini assegnò alla città di Terranova, fatta costruire da Federico II di Svevia.

Ma, al di là di questa polemica, le origini di Licata sono assai più remote. Le scoperte, infatti, di materiali litici e fittili in varie località di Licata consentono di documentare un quadro cronologico complessivo che va dal neolitico di tipo stentinelliano (5° millennio a.C.) all'eneolitico di tipo San Cono e alla prima metà del bronzo di tipo castellucciano (2° millennio a.C.). Non trascurabili sono, inoltre, i segni lasciati dalle culture del paleolitico superiore.

Prima che arrivassero i Greci, il sito di Licata fu frequentato dai Fenici che vi mercanteggiarono tra il XII e l'VIII secolo a.C. Verso la fine del VII sec. il colle di Licata, detto nelle antiche carte "Gelae Mons", entrò in possesso dei Geloi che vi edificarono una stazione fortificata a guardia della foce del fiume Salso. Nella prima metà del VI sec. a.C. Falaride, tiranno di Agrigento, per arginare l'espansione di Gela verso occidente, si assicurò parte del territorio di Licata con la costruzione di un frourion, un avamposto fortificato. Nel IV sec. a.C. la città cadde nelle mani dei Cartaginesi dai quali fu liberata nel corso della prima guerra punica dai Romani, quando nel 256 a.C., nel mare di Licata, presso l'Ecnomo, fu combattuta la prima grande battaglia navale della storia. Diventata, così, sotto i Romani un grande emporio commerciale, la città andò sempre più sviluppando il suo perimetro urbano sull'antico colle di Licata. I segni del primo Cristianesimo sono presenti nelle necropoli di Santa Maria ricavate all'interno di antiche spelonche.

Poche notizie si hanno di Licata durante il periodo bizantino, quando iniziò a svilupparsi attorno al castello a mare Lympiados il primo nucleo dell'odierno centro storico. Nell'827 d.C. la città fu conquistata dal cadì Asad e rimase sotto i musulmani per più di due secoli, finchè non fu espugnata dai Normanni il 25 luglio 1086. Federico II, imperatore svevo, annoverò Licata tra le 42 città demaniali della Sicilia, concedendole nel 1234 il titolo di "Dilectissima", al quale nel 1447 il re Alfonso I unì quello di "Fidelissima". L'11 luglio1553 la città fu assalita e saccheggiata per sette giorni dal pirata Dragut che la distrusse quasi completamente. La ricostruzione fu ritardata dalla peste del 1625 che falciò molte vite umane e dalla carestia del 1647, nonché dai tanti balzelli che l'esoso governo spagnolo esigeva dalla popolazione licatese, soggetta anche al pagamento di una particolare gabella sull'acqua.

Durante il sei-settecento la città si sviluppò sempre più all'interno della cinta muraria, interamente ricostruita, e si vestì di nuove e prestigiose architetture sia civili che religiose sorte lungo l'asse del vecchio e nuovo Cassaro. Sempre in questo periodo assunse maggiore importanza il regio Caricatore di grano, di antica fondazione,al quale approdavano velieri provenienti da tutto il Mediterraneo. L'ultimo sbarco di pirati turchi si ebbe nell'agosto del 1803, ma non trovò la città impreparata. Nel 1820 Licata si sollevò contro i Borboni. La resistenza contro il re di Napoli fu guidata dal patriota Matteo Vecchio Verderame che fondò nel suo sontuoso palazzo una delle prime logge massoniche della Sicilia.

Sbarcato Garibaldi a Marsala, Licata insorge ed invia un proprio drappello di uomini armati al seguito del liberatore il cui figlio Menotti, insieme a Nino Bixio, fu ospitato nella notte del 20 luglio 1860 nel sontuoso palazzo neo classico del marchese Cannarella. Passata la Sicilia sotto il governo piemontese, fu di stanza a Licata in qualità di comandante della 9a compagnia del 57° reggimento di fanteria, Edmondo De Amicis, l'autore del libro "Cuore". Nel 1870 Licata costruì a sue spese il ponte sul fiume Salso e nel 1872 il porto commerciale e si aprì le strade che la collegassero direttamente con le miniere di zolfo che determinarono la sua fortuna economica. La città divenne residenza abituale di facoltose famiglie e di numerose sedi consolari.

Vennero edificati parecchi palazzi e ville liberty, alcune progettate da Ernesto Basile ed affrescate da Salvatore Gregorietti. Lo zolfo alimentava ben cinque raffinerie, la più grande delle quali, costruita nel 1912 dalla Ditta Alfonso & Consoli di Catania, era forse la più importante d'Europa. Mulini, oleifici, fabbriche di ghiaccio, vari pastifici, nonché il grande stabilimento chimico della Società Montecatini e i primaticci della fertile piana costituivano le fonti del benessere di Licata. Dal 1922 il Fascismo fiorì anche in questa città. Il 10 luglio 1943, quando ormai le truppe dell'Asse erano in piena crisi, sbarcò a Licata la 3a divisione di fanteria USA, prendendo la città quasi senza colpo ferire. In quel medesimo giorno per Licata finì il Fascismo e con esso la guerra e si aprì la porta alla Democrazia.




FONTE ''La Vedetta''

Edited by LICATESE ODIATO E FIERO - 29/4/2010, 15:22
 
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view post Posted on 28/4/2010, 18:24






ROCCA DI SAN NICOLA

Fu l'antica INICO ed era Capitale Sicana. Subì dominazioni micenee e fenice, infatti fu la Reggia di RE COCALO il Re Sicano,piu' tardi divenne prigione di stato di Gela, grata e sacra ad Ercole (citato da Diodoro Siculo,Platone,Aristotele).
Qui si ambiento' Dedalo perseguitato da Minosse Re di Creta, successivamente fu ospitato a Camico(castellazzo di palma) ed era la seconda Reggia del Re Cocalo. Qui mori' Minosse ucciso con una bagno caldo dalle figlie di Cocalo, per riconoscenza a Dedalo in quanto autore della citta' di Camico che divenne la nuova reggia di Cocalo, costruito dallo stesso artista ateniese. Successivamente Cocalo consegno' il corpo di Minosse ai Cretesi per la sepoltura.
Infine INICO e tutto il territorio fu interessato da scambi commerciali con popolazioni egeomicenee e minoico-cretesi che costituirono le premesse della colonizzazione greca in terra di Sicilia
 
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view post Posted on 30/4/2010, 20:28
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Nelle viscere del pieno centro cittadino ,in via Marconi si apre un enorme cavità troncoconica,interamente scavata nella roccia,rivenuta casualmente durante i lavori di sbancamento per la costruzione di via Marconi (VIA O MARI) .Purtroppo in quest'occasione la struttura fu danneggiata e privata di una porzioneche pare essere stata in origgine un cunicolo,simile a quelli che immettono all'interno della grangela.
Per le eccezionali dimensioni dell'opera e per il richiamo al mito della morte e della sepoltura Minosse,avvenuta in territorio agrigentino ,sono in molti a ritenerel'ipogeo una tomba a tholos di epoca micenea,paragonabile solo alla tomba di Agamennone re di Micene.














"interno della tomba"

Edited by licatese 264 a.C. - 15/5/2011, 18:01
 
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view post Posted on 1/5/2010, 13:52
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INGRESSO DELLA TOMBA







Edited by licatese 264 a.C. - 15/5/2011, 17:55
 
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Battaglia dell'Imera




Vengono comunemente denominate battaglia dell'Imera due battaglie combattute nei pressi del fiume Imera Meridionale o Salso.

La prima fu combattuta nel 405 a.C. tra 35.000 Greci sicelioti in soccorso di Agrigento assediata e 40.000 Cartaginesi che di questo assedio erano gli autori. I Punici risultarono sconfitti perdendo 6.000 soldati.

La Battaglia dell'Imera o di Ecnomo del 310 a.C. si combatté tra i Cartaginesi di Amilcare e i Siracusani di Agatocle , nei pressi dell'odierna Licata. Diodoro Siculo narra che Agatocle, sentito che i Cartaginesi avevano occupato (311 a.c.) in quel di Gela(Licata) il colle chiamato Ecnomo (posizionato sul fianco occidentale del "fiumicello" che sfocia alla baia di Mollarella, 5 km a ovest di Licata), decise di combatterli con tutte le sue forze. Ma la buona stagione trascorse senza che si venisse a battaglia. L'anno seguente 310 a.C.) Amilcare sbarcò in Sicilia e, pur essendo stata la spedizione decimata da una tempesta, si accampò nella zona di Gela con un esercito di 40.000 pedoni e 5.000 cavalieri.

Agatocle si preoccupò che città e castelli a lui ostili potessero schierarsi dalla parte dei Cartaginesi. Temeva soprattutto per la città dei Geloi, avendo saputo che nel loro territorio erano tutte le forse dei nemici. Ma non osando prendere d'assalto Gela, vi introdusse, pochi alla volta, soldati a lui fidati e, quando ritenne di avervi forze sufficienti, accusò i cittadini di tradimento. Ne fece trucidare più di 4.000 e buttò giù gli sgozzati nel fossato fuori dalle mura. Lasciato, poi, nella città un adeguato presidio, si accampò di fronte ai nemici. I Cartaginesi tenevano l'ecnomo[6]. D'altra parte Agatocle occupò uno degli altri castelli di Falaride, quello che da lui ebbe il nome di Falario. In mezzo agli accampamenti era un fiume, che entrambi utilizzavano come propugnacolo contro i nemici. Antiche predizioni dicevano che in questo luogo un gran numero di uomini sarebbero stati uccisi in combattimento. Non essendo evidente per chi dei due si sarebbe verificato il disastro, i soldati divennero superstiziosi e timorosi della battaglia. Perciò, per molto tempo, né gli uni, né gli altri osarono passare in forza il fiume, sinché una inopinata occasione non li spinse al conflitto. Poiché i Libi depredavano il territorio nemico, Agatocle fu spinto a fare altrettanto. Mentre i Greci portavano la preda e asportavano dagli accampamenti alcuni cavalli, gli inseguitori uscirono dal vallo cartaginese. Ma Agatocle, prevedendo ciò che stava per verificarsi, aveva posto in agguato presso il fiume gli uomini più valorosi. Questi, avendo i Cartaginesi inseguito coloro che portavano la preda e passato il fiume, improvvisamente uscirono dai nascondigli e, aggrediti gli avversari inordinati, facilmente li volsero alla fuga[9]. Mentre i barbari venivano uccisi e fuggivano verso i propri accampamenti, Agatocle, pensando che fosse una buona occasione per attaccare battaglia, guidò tutte le sue forze contro l'esercito dei nemici.

Assalendoli inaspettatamente e prestamente colmata una parte del fossato, Agatocle distrusse la palizzata e, forzando, invase gli accampamenti[10]. I Cartaginesi, colpiti dalla sorpresa non potendo schierarsi in ordine di battaglia, volsero in fuga[11] e già l'accampamento stava per essere espugnato, quando inaspettatamente giunsero rinforzi ai Cartaginesi dalla Libia[12]. Perciò perdutisi d'animo quelli che erano negli accampamenti, volsero le spalle; ma quelli che erano venuti in aiuto circondarono i Greci. Essendo stati questi inopinatamente sconfitti, presto si capovolsero le sorti della battaglia. I Greci fuggirono, alcuni verso il fiume Imera, altri verso gli accampamenti. Poiché la ritirata ebbe luogo per 40 stadi, ed era tutta in pianura, li inseguirono i cavalleggeri dei barbari che erano non meno di 5.000. Donde ne venne che tutto lo spazio intermedio si ricoprì di morti; e lo stasso fiume accrebbe molto la strage dei Greci[13]. Poiché era la stagione della canicola e l'inseguimento ebbe luogo verso mezzogiorno, molti dei fuggitivi, per la calura e l'ardore della fuga, assetati, bevvero avidamente, pur essendo il fiume salato, e trovarono la morte non feriti presso il fiume non minor numero che gli uccisi nell'inseguimento. Caddero in quella battaglia circa 500 barbari e non meno di 7.000 Greci[14]. Agatocle, colpito da sì grande strage, riunì i dispersi e, bruciati gli accampamenti, si ritirò a Gela . Avendo sparso voce di esser fuggito in fretta a Siracusa, 300 cavalieri libici trovarono nei campi alcuni soldati di Agatocle. Riferendo questi che Agatocle si era ritirato a Siracusa, quelli entrarono a Gela da amici e, delusi nella speranza, furono trucidati[15]. Agatocle si richiuse in Gela , non perché impossibilitato a mettersi in salvo a Siracura, ma desiderando trattenere i Cartaginesi per l'assedio di Gela , così i Siracusani ebbero molta possibilità di metter dentro il raccolto, necessario nella avversità[16]. Amilcare dapprima si accinse ad assediar Gela; vedendo, però, che in questa era forza difensiva e che Agatocle aveva abbondanza di tutto, rinunziò all'impresa....


FONTE"Wikipedia"

Edited by licatese 264 a.C. - 1/5/2010, 21:46
 
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pericoloso
view post Posted on 1/5/2010, 20:51




cumba bella storia ti fazzu i complimenti :thumbsup.gif: :thumbsup.gif: :thumbsup.gif:
 
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grazie cumpà ma i complimenti ai nostri avi ...........

Edited by licatese 264 a.C. - 2/5/2010, 00:57
 
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view post Posted on 9/8/2010, 13:13
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11 LUGLIO 1553
Una data del nostro passato che dovremmo ricordare che segna un particolare momento di storia e di fede della nostra città.

L’11 luglio 1553 i Turchi alleati con i Francesi presero di assedio la città di Licata, in quel tempo difesa a mare dal Castel San Giacomo, comandato dal castellano Giovanni Pompeo Grugno.Inutile f...u la difesa operata dai soldati posti all’interno del castello ed insufficiente fu la resistenza delle mura della città, che erano ancora fatiscenti a causa del terremoto che scosse la Sicilia nel 1542.
Gli invasori, dopo aver espugnato il castello ed ucciso il comandante, poterono liberamente entrare in città, iniziando a saccheggiarla, a depredarla, a distruggerla, bruciando gli archivi pubblici, profanando le chiese e mettendo in fuga molte persone. Ebbero i danni maggiori la Chiesa di San Francesco dalla quale fu portata via una preziosa campana e la Chiesa Madre.
Il triste ricordo dell’invasione dei Turchi a Licata è legato soprattutto all’evento miracoloso del Crocefisso Nero, un’opera in mistura dal colore scuro, realizzata nel 1469 ed attribuita agli scultori messinesi Jacopo e Paolo de li Matinati, custodito in Chiesa Madre.
Entrati nel Duomo, i Turchi dopo aver fatto razzia d’ogni oggetto sacro, presero di mira questo Crocefisso che, secondo l’usanza liturgica di quel tempo, pendeva giù dall’arco trionfale della chiesa. Prepararono un’alta catasta di legno, appiccarono il fuoco, mentre altri iniziarono da diverse parti a saettare la Sacra Immagine, di cui tre frecce rimasero infisse nel corpo.
Qui avvenne il miracolo che nei secoli è stato tramandato attraverso una immemorabile tradizione. Il Crocefisso rimase illeso dalle fiamme, si annerì solamente e i licatesi, ritornati in città qualche giorno dopo il saccheggio dei turchi, rimasero stupiti dal fatto che l’Immagine non bruciò. Così per riparare i danni provocati dal fumo e per tramandare nei secoli questo prodigioso evento, dipinsero l’immagine con una vernice nera, lasciando infisse le frecce che gli furono scagliate.
I Turchi, dopo aver compiuto il sacrilego atto e devastata la città, si allontanarono da Licata per continuare ad esercitare la pirateria verso altri centri della Sicilia. Da Licata furono deportati numerosi abitanti e i due figli del castellano Grugno, uno dei quali morì pochi giorni dopo, l’altro invece fu riscattato a spese della città.
Attorno alla miracolosa immagine del Cristo Nero è stata riportata la testimonianza del vescovo di Agrigento, mons. Francesco Trajna che, durante una sua visita pastorale a Licata nel 1627, definisce: il Crocefisso “…é antico, di miracoli e di sagitti del Turco”. Antonio Serrovira nel suo manoscritto del XVII sec. sulla storia di Licata riferisce: “Nella Matrice si adora con molta riverenza l’immagine antichissima e miracolosa del SS. Crocifisso, di legno e di eccellente mano”.






Stampa del XVI sec. raffigurante Licata durante l'invasione franco-turca - 11 luglio 1553







cappella del cristo nero


Edited by licatese 264 a.C. - 10/8/2010, 23:37
 
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view post Posted on 9/8/2010, 14:05




e' una data che ogni licatese non solo quelli con un certo orgoglio e identita' dovrebbe ricordare,piu' di ogni altra cosa.
tenere presente che a parte questo fatto,dei veri guerrieri hanno tenuto in alto il nome di questa citta',difendendola con le armi oltre che con le sue mura.
battendosi per essa,per il suo prestigio,il suo simbolo la sua identita' che in quei secoli era tenuto con una certa fierezza.
 
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view post Posted on 25/9/2010, 12:39
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Da Licata verso l’Africa
Prepotenze, miseria e disonore


Quella nottata tra il 18 e il 19 luglio 1943 di tormentosa ansia, di gravosi dubbi e di irosa ribellione passeggiai avanti indietro tutto il tempo. Al mattino del 19 venne introdotto un altro ospite, il segretario del fascio di Campobello (di Licata), un avvocato, accusato di avere armato di pistola un maggiore dell’esercito italiano, prima dell’invasione americana e mentr’era in corso lo sbarco sulla costa. Tutti dunque avrebbero dovuto tradire!…

Verso le due del pomeriggio misero in riga per tre i militari del Distretto, in testa il grosso colonnello affiancata da due ufficiali superiori e seguito dagli ufficiali subalterni, dai sottufficiali e dai militari di truppa.
Uno della MP mi ingiunse di portare una cassetta contenente i portafogli (forse alleggeriti) degli ufficiali; e la colonna si mise in marcia sulla polverosa strada per la stazione ferroviaria distante due chilometri e mezzo circa, attraverso le vie del paese sotto un sole cocente e tra il dileggio del popolaccio.

Così inquadrati si giunse alla scalo ferroviario accolti da una scimmiesca ilarità dei negri vestiti da soldati liberatori, guardati a vista e sotto la minaccia delle armi automatiche. Chiesi aiuto contro la sete e il sudore all’ufficiale medico che mi stava vicino che mi porse una borraccia con del cognac di cui bevvi alcuni sorsi ricevendone un certo ristoro. Un soldato, una specie di scimmione negro, passandosi l’arma da una mano all’altra, con quella libera strappava l’orologio che l’ufficiale medico metteva allo scoperto nel porgermi da bere. Nessuno poteva protestare, e il dottore per soccorrermi dovette subire in silenzio la prepotenza.

ntanto con un senso di vera nausea, si dovette assistere a scene deprimenti: ragazzi adulti e non poche donne anche molto giovani, attorniavano quei soldati nostri guardiani e, partecipando alla costoro ilarità con fare sottomesso ed umiltà strisciante, offrivano ad essi vino, liquori e procaci promesse, in cambio di cioccolattini, caramelle, sigarette.

E tra le risa sguaiate di quella plebaglia i “liberatori” negri, resi più audaci dalle abbondanti libagioni, alla presenza di tutti si permettevano sconce licenziosità con le donne. E il geloso costume siciliano dove era andato a farsi… benedire?

Finalmente, nel tardo pomeriggio, fu pronto un treno merci e tutti venimmo fatti salire con spintoni piuttosto violenti, in alcuni carri: si trattava degli indimenticabili carri-merci dove era scritto il fatidico: “cavalli otto – uomini quaranta” che componevano le “tradotte” della grande guerra impiegati nel trasporto al fronte di fanti di una guerra vittoriosa. E pigiati come sardine, come Dio volle, giungemmo alla stazione di Licata, dove venimmo scortati alla villa comunale attrezzata a campo di concentramento. Un tale non dissimile dal bieco Davis di Milena faceva da interprete manifestando leziosa e umile sottomissione verso la soldataglia che ci custodiva.
Licata, paese che non conoscevo, si presentava quel tardo pomeriggio tal quale un porto di guerra assai movimentato: affollato com’era da militari di ogni colore, da plebaglia numerosa, da sgualdrine lascive e ributtanti.

Sul lungomare prospiciente la spiaggia si svolgeva una interminabile processione di automezzi d’ogni tipo. Si era alle ultime luci del giorno e dal mare venivano fuori giganteschi carri anfibi che, emergendo gocciolanti e, strisciando sull’arenile, vomitavano militari armati di tutto punto.

Era uno spettacolo caotico, colmo di rumori assordanti, di ordini lanciati a squarciagola e strilli che rompevano i timpani.

LA BATTAGLIA DI SICILIA

Nella notte tra il 9 e il 10 luglio iniziò la “battaglia di Sicilia”, nel corso della quale i soldati italiani e tedeschi, nonostante disponessero di esigue forze, in talune zone tennero testa valorosamente alla soverchiante superiorità dell’invasore per ben trent’otto giorni. Il piano d’assalto, detto “Husky”, dal nome del cane siberiano da slitta, era stato elaborato dalla Force 141 dello Stato Maggiore alleato ed approvato dal presidente americano Roosevelt e dal primo ministro britannico Churchill alla Conferenza di Casablanca del 14-23 gennaio 1943, quando la campagna d’Africa può considerarsi ormai chiusa a favore degli alleati anglo-americani. Tale piano fu più volte rimaneggiato e modificato anche per alcune divergenze di opinioni sorte fra i capi militari.
Ma alla fine prevalse il disegno del generale Alexander: la 18a armata avrebbe dovuto sbarcare nei pressi di Pozzallo, poi risalire per Augusta e Catania; la 7a armata avrebbe dovuto sbarcare presso Licata, codificata come area “Joss”, prendere Gela, assicurare il fianco alla 8a armata a Ragusa nella sua avanzata, mentre forti contingenti di truppe aviotrasportate, paracadutate oltre la testa di ponte, avrebbero occupato i punti chiave e protetto gli sbarchi.
Alle ore 02,30 di quella notte venne dato l’allarme navale quando da Licata a Scoglitti, appaiono in formazione 942 navi della 8a flotta americana, giunte dalla Algeria, dalla Tunisia e da Malta. Sono 5 incrociatori, 48 cacciatorpediniere, 11 tra posamine e dragamine, 87 unità da combattimento di vario tipo, 94 unità ausiliarie e da trasporto e rifornimento, settecento navi e mezzi da sbarco. Nessuna corrazzata e nessuna portaerei presenti. Le operazioni navali sono dirette dal vice ammiraglio Henry Kent Hewit che si trova a bordo della Monrovia (8,889 tonnellate di stazza) assieme al generale Gorge Smith Patton che guida la 7a armata americana (3 divisioni di fanteria, in tutto 26 battaglioni, una divisione corazzata e 3 battaglioni Rangers) e che assumerà la direzione delle operazioni terrestri. L’obiettivo è l’occupazione del territorio di Licata, dal fronte costiero Gaffe-Due Rocche, con il porto e la città.
Nel settore di Gaffe, contrassegnato come “spiaggia rossa” sono in posizione le unità del gruppo d’attacco “Gaffi”, con i cacciatorpediniere Roe e Swanson, che ha il compito di portare sulla battigia il 7° raggruppamento tattico della 3a divisione di fanteria agli ordini del colonnello Harry B. Sherman. Nei settori Poliscia e Mollarella, detti “spiagge verdi”, sta il gruppo d’attacco “Molla”, con i cacciatorpediniere Edison e Bristol, con il compito di sbarcare il 3° battaglione rangers, agli ordini del tenente colonnello H.W. Dummer, e il 2° battaglione del 15° raggruppamento che marceranno verso est sulla città. Nel settore Plaia e Montengrande, detto “spiaggia gialla”, sono in posizione i cacciatorpediniere Wolsey e Buck e l’incrociatore Brooklyn e mezzi del gruppo d’attacco “Salso”, coordinati dal capitano di fregata William O. Floyd che ha il compito di trasportare a terra il 1° e il 3° battaglione del 15° raggruppamento agli ordini del colonnello Charles E. Johnson, con l’incarico di chiudere a tenaglia Licata. Nel settore Due Rocche, detto “spiaggia Blu”, sono pronti gli anfibi del gruppo d’attacco “Falconara”, supportato dal fuoco dei cacciatorpediniere Wilkes, Nicholson, Ludlow, Birmingham, che devono sbarcare il 30° raggruppamento del colonnello Arthur H. Rogers che ha l’ordine di conquistare il colle Disusino.
Le unità da combattimento alle 23,30 hanno sottoposto la costa e il semicerchio collinare ad intenso bombardamento con salve di potenti cannoni da 6 e 5 pollici. Alle ore 01,00 del 10 luglio il generale Alfredo Guzzoni dichiara lo stato di emergenza ed ordina di far brillare le ostruzioni, le banchine portuali e gli ormeggi. Alle ore 02,45, l’ora “H”, le unità navali americane spargono dense cortine di fumo e riaprono il fuoco assicurando il necessario supporto alle ondate di assalto verso gli arenili. All’alba irrompono, però, gli aerei del Luftwaffe, i bombardieri veloci provenienti dalla Sardegna e i caccia del 53° stormo della base di Catania. Alcuni vengono abbattuti, gli altri si ritirano.
Il primo sbarco si registra alle ore 04,10 sull’arenile di Gaffe, ma i fanti americani si trovano davanti un attivissimo fuoco da parte degli uomini del 139° reggimento della 207a divisione. La seconda e terza armata fa fatica ad arrivare sulla battigia, subendo gravi perdite a causa del fuoco da terra e del mitragliamento degli aerei tedeschi. Il comandante americano della spiaggia chiese la sospensione degli sbarchi, mentre le truppe bloccate sulla battigia fanno fatica ad avanzare. Alle ore 7,15, dopo l’intervento devastante dell’incrociatore Brooklyn che trebbia implacabile tutta l’area nemica di Gaffe, da Mandranova a Sconfitta, il fuoco difensivo cessa completamente. Alle ore 8,00 tutte le operazioni di sbarco degl gruppo “Gaffi” vengono completate con successo.
Alle ore 03,00 i rangers del 3° battaglione toccano terra alla Poliscia e dopo aver zittito il fuoco di difesa avanzano verso est e dopo aver superato le linee di difesa e imboccata la strada San Michele, avanzano verso Licata. Alle 03,40 la seconda ondata, al comando del col. Brady, che incontra sulla serra Mollachella l’eroica resistenza di un tenente italiano, rimasto ignoto. Il 2° battaglione, così, protetto dal Bristol e dall’Edison, guadagna la strada panoramica verso Licata e il castel Sant’Angelo. Il Bristol con le sue bordate colpisce Pizzo Caduta, Monserrato, il Belvedere, il Cimitero, mette fuori uso il treno armato che si trovava a protezione del porto e martella la città provocando seri danni a molti edifici del centro.
Presso il pozzo Gradiglia i Rangers ricevono la resa del 419° battaglione italiano, mentre alle 07,35 i fanti di Brady ammainano il tricolore issato sul castel Sant’Angelo, colpito dall’incrociatore Brooklyn e dal caccia Buck, e innalzano, al suo posto, la bandiera a stelle e strisce. Le perdite del gruppo sono lievi, ad eccezione dell’affondamento del dragamine Sentinel, più volte colpito dalle bombe degli aerei tedeschi.
Nella zona Plaia-Montegrande sbarcano due battaglioni del 15° reggimento del col. Johnson. La prima ondata tocca terra alle ore 03,40, quando già il comando del 390° battaglione italiano sulla spiaggia è stato abbandonato. Alle ore 9,30 i fanti americani guadano il Salso e marciano su Licata. Per l’intera durata dell’operazione i cacciatorpediniere Woosley e Buck, davanti al porto e dirimpetto alla Plaia cannoneggiano senza sosta. Sulla “spiaggia blu”, zona Punta Due Rocche, lo sbarco avviene in più ondate dalle ore 03,15, protetto dall’incrociatore Brooklyn che spazza le batterie sui fianchi del Disusino e dal Birmingham che martella anche Faino, Poggio Lungo e la cinta collinare sopra Falconara. Alle ore 07,50 sbarcano anche gli agenti della Centrale Italiana dell’OSS, l’ufficio dei servizi strategici che nel 1945 si trasformerà in CIA. In spiaggia ad attenderli c’è Frank Toscani, in zona da settimane, sotto false generalità, camuffato da commerciante di pomodori.Uno stuka tedesco affonda il caccia Maddox, che navigava al limite tra la zona Joss e la zona Dime. Alle ore 04,58 affonda con i suoi 211 membri dell’equipaggio, il comandante e 7 ufficiali. I superstiti sono solo 74.
Alle 11,30 dal balcone del Municipio di Licata, liberato dal nido di mitragliatrici dei R. Carabinieri, sventolano le bandiere americane e britanniche. Il maggiore Frank Toscani dell’Amgot assume il governo della città e stabilisce la sua base operativa nell’ufficio del podestà. Il generale Lucian K. Truscott pone il suo comando nel palazzo La Lumia. Un altro comando militare viene ospitato nella casa di campagna del sig. Giovanni Licata in contrada Montagna-San Cataldo. Sul molo di levante sbarcano i carri armati Stuart e Sherman del gruppo d’attacco “Gaffi”. Gli uffici dell’ex Fascio costituirono il comando della Polizia Militare, mentre l’ufficio circondariale di porto ospitò il comando della Usa Navy, sotto la cui giurisdizione passò il porto di Licata. Un aeroporto viene allestito nella Piana Romano.
Combattimenti susseguono domenica 11 luglio e nei giorni successivi. Si tratterà però di attacchi isolati di aerei tedeschi. Al largo di Gaffe viene affondata una nave ospedale, alle ore 8,10 viene colpota una nave da sbarco carica di carri armati. Nel pomeriggio vengono distrutti due mercantili a punta Due Rocche e un rifornitore a Safarella. Lunedì 12 luglio viene danneggiata la nave ammiraglia Monrovia che era stata appena visitata dal comandante della Force Husky, il generale Qwigth David Eisenhower, giunto da Malta con il cacciatorpediniere britannico Petard.
Sulle spiagge dell’area Joss, territorio di Licata, dal 10 al 12 luglio furono sbarcati 20.470 soldati e 3.752 veicoli, dal 13 al 31 luglio 29.294 soldati e 7.967 veicoli, nel mese di agosto 6.325 soldati e 2.430 veicoli.
Nella villa Elena fu improvvisato un campo di concentramento, anche per prigionieri civili, molti gerarchi fascisti dell’ultima ora. Si trattava di un campo di transito per i prigionieri di guerra che affluivano dall’interno della Sicilia. Da qui venivano periodicamente trasferiti al vicino porto ed imbarcati su grandi zatteroni per i campi P.O.W. di Orano, in Algeria.
Il maggiore Frank Toscani lascia il comando degli Affari Civili di Licata prima del ferragosto del 1943. Gli succede il capitano Wendel Phillips che resta al governo degli Affari Civili di Licata sino al mese di dicembre del 1943. Con la sua partenza se ne andarono anche le truppe americane da Licata, con le quali erano giunti anche due ospiti illustri dello spettacolo e della fotografia. Il primo, Maurice Chevalier, che tenne molti spettacoli nell’arena naturale dell’Ortu “du za Saru”, per mantenere alto il morale delle truppe dello zio Sam, l’altro, Robert Capa, fotoreporter del “Life”, che immortalò artisticamente con la sua macchina fotografica rare e preziose immagini di guerra. Molto significativa è quella che ritrae il fante di Marina Franklin Delano Roosevelt jr, figlio dell’allora presidente U.S.A., mentre accovacciato riceve indicazioni nelle campagne di Licata da un piccolo e vecchio contadino.
Moltissime furono le vittime civili licatesi provocate dallo sbarco. Se ne contarono almeno 73, ma il numero sicuramente è stato più alto, così ripartite: 32 caddero il 10 luglio, 26 morirono successivamente nell’ospedale del Croce Rossa per ferite riportate durante le operazioni di sbarco e 15 nei mesi successivi per scoppio di munizioni (11). Numerose furono anche le vittime tra le truppe da sbarco americane. Il gen. Patton in data 18 luglio, dopo la presa di Agrigento, comunicava, infatti, al generale Eisenhower di aver perso 5.600 uomini dei quali 500 morti, 1900 dispersi e il resto feriti.

Questo brano è tratto da Alicata Dilecta di Calogero Carità
Altri riferimenti bibliografici:
Carmela Zangara, 10 luglio 1943, Le testimonianze dei Licatesi, Licata 2000, ed. La Vedetta
Carmelo Incorvaia, 10 luglio 1943. La Usa Navy nello sbarco a Licata, in Lungo il piccolo Càssaro (note di storia della Sicilia minore), Licata 2004, ed. La Vedetta.
 
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view post Posted on 7/12/2010, 20:45
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Tifoso Doc

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Licata provincia della valle del salso

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Le origini

Numerose indicazioni storiche indicano la città esistente già nel III secolo a. C., come dimostrato anche da recenti scavi archeologici, in cima alla Montagna.
A proposito delle origini della città esistono versioni contrastanti: alcuni sostengono che la città, in origine, coincideva con la colonia greca Gela, fondata da Antifemo di Rodi e da Entimo di Creta nel 690 a.C.
Altri scostengono invece la tesi per cui la città, chiamata Finziade, sarebbe stata fondata nel 282 a.C. da Finzia, tiranno di Agrigento, il quale, distrutta Gela, trasferì nel nuovo insediamento tutti gli abitanti della città sconfitta. I sostenitori di quest’ultima ipotesi fanno coincidere l’antica Gela con l’attuale città di Gela.

Fenici, Greci, Cartaginesi e Romani


Prima dell’arrivo dei Greci, il sito di Licata, tra il 12º e l’8º secolo a.C., fu frequentato dai Fenici, mentre alla fine del 7º secolo a.C., sul “Gelae Mons” (ovvero la collina di Licata), fu edificato, da parte dei Geloi, un fortino di guardia per presidiare la foce del fiume Himera.
Nel 6º secolo a.C., Falaride, tiranno di Agrigento, in guerra con Gela, occupò parte del territorio erigendo un avamposto fortificato.

Nel 4º secolo a.C. la città fu occupata dai Cartaginesi che rimasero fino al 256 a.C.. Fu in questo anno che si combattè, nel mare di Licata, durante la Prima Guerra Punica, la famosa battaglia navale di Capo Ecnomo (per Polibio la più grande battaglia navale dell’antichità), dove i Cartaginesi con 250 navi e 15.000 marinai affrontarono i Romani del console Marco Attilio Regolo, con al seguito 230 navi e 97.000 uomini fra soldati, e marinai. A seguito della battaglia, la città fu conquistata dai Romani vincitori. Sotto i Romani si espanse l’attività commerciale e con essa la dimensione della città.

Il primo cristianesimo e il periodo bizantino.

Il paleocristianesimo ha lasciato il segno della sua presenza nelle necropoli ricavate all’interno delle grotte nell’attuale quartiere di Santa Maria.
Il primo nucleo dell’attuale centro storico si sviluppò durante il periodo bizantino, attorno al castello a mare di Lympiados.

Arabi e Normanni

L’inizio della dominazione araba a Licata ha inizio nell’anno 827 d.C. quando la città fu conquistata dal cadì Asad. Tale dominazione durò più di duecento anni e si concluse con la conquista da parte dei Normanni, avvenuta il giorno 25 luglio 1086.

Durante il periodo Normanno Licata visse un’età felice: venne riconosciuta Città Demaniale (ovvero soggetta alla sola giurisdizione della Corona) e insignita dell’onorificenza di “Dilectissima” nel 1234 dall’imperatore Federico II di Svevia che le diede come emblema l’aquila imperiale che tuttora è il simbolo della città.

Angioini, Aragonesi e Spagnoli

Nel 1270 si instaura in Sicilia il regno Angioino. Licata, che conta circa 7.000 abitanti ed è soggetta a pesantissime vessazioni, partecipa alla rivoluzione dei Vespri Siciliani: guidati dai baroni Rosso e Bernardo Passaneto, i licatesi insorgono e vengono assaliti e saccheggiati i presidi francesi presenti in città.

Durante il regno di Alfonso I d’Aragona la città riceve il titolo di “Fidelissima” (1447).

Sotto la lunghissima dominazione spagnola, Licata, visse alterne fortune.

Un evento particolarmente drammatico fu quello che si ebbe nel luglio del 1553, quando la città venne saccheggiata e distrutta dal pirata Dragut (giacchè gli Ottomani, alleati dei francesi, erano in guerra con la Spagna).
In seguito a tali vicissitudini, alla fine del Cinquecento, furono ricostruite le mura e venne edificata una poderosa torre di guardia sulla sommità del colle Sant’Angelo (che domina a tutto’oggi la città).

Licata cominciò lentamente a rivivere e ciò grazie anche ad una immigrazione di cittadini maltesi (1565) approdati a Licata per mettersi in salvo dalle continue aggressioni della flotta ottomana.
Nonostante un periodo nefasto che ebbe a perdurare a causa della peste del 1625 e della carestia del 1647, successivamente, e per tutto il secolo XVII, la città si sviluppò sempre più all’interno della cinta muraria, interamente ricostruita, e vennero edificate numerose opere civili e religiose. La colonia maltese, incrementatasi ulteriormente per una nuova immigrazione avvenuta nel 1645, diede origine al primo borgo extra moenia di Licata (l’attuale quartiere di S. Paolo) sulle propaggini nord-orientali del colle Sant’Angelo, in prossimità dell’antica chiesa di Santa Agrippina, che in seguito fu dedicata a San Paolo, protettore di Malta.

Il porto diventò molto frequentato da parte di imbarcazioni di tutto il Mediterraneo, in special modo dai mezzi mercantili che venivano a rifornirsi di grano.

A cavallo tra il VII e il VIII secolo venne avviata una vasta opera di riqualificazione urbanistica in seguito alla quale venne ampliato il Cassaro. Lungo il Cassaro (oggi c.so Vittorio Emanuele), furono edificati diversi palazzi da parte delle principali famiglie patrizie, cosicchè venne a definirsi l’attuale connotazione barocca del centro storico. Nei primi anni dell’Ottocento si ebbe l’ultimo sbarco di pirati turchi che vennero però respinti.

Il Risorgimento

Nel 1820 Licata si sollevò contro i Borboni. La resistenza contro il re di Napoli fu guidata dal patriota Matteo Vecchio Verderame. Durante l’Impresa dei Mille, dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, la città insorge ed invia un proprio contingente armato al seguito dell’Eroe dei Due Mondi. Il figlio di Garibaldi, Menotti, insieme a Nino Bixio, fu ospitato nella notte del 20 luglio 1860 nel palazzo del marchese Cannarella.
Dopo la cacciata dei Borboni, quando la città, come tutta la Sicilia, passò sotto il controllo del governo piemontese, Licata ospitò, in qualità di comandante della 9ª compagnia del 57º reggimento di fanteria, lo scrittore Edmondo De Amicis.

Dall’Unità d’Italia ai giorni nostri.

Negli anni compresi tra il 1870 e il 1872, furono costruiti il ponte sul fiume Salso, il porto commerciale, e diverse strade che permisero il collegamento diretto con le miniere di zolfo presenti nella parte interna del territorio. Furono realizzate cinque raffinerie, tra le quali la più importante d’Europa.

Le miniere e le attività commerciali ad esse connesse determinarono un grosso sviluppo socio-economico, creando un indotto che fece la fortuna della città. Licata divenne così residenza abituale di famiglie facoltose, nobili e borghesi, nonchè di numerose sedi consolari e questo favorì una intensa attività edificatoria, durante la quale furono costruiti numerosi palazzi e ville liberty, alcune delle quali furono progettate da Ernesto Basile ed affrescate da Salvatore Gregorietti.

Nel 1922 iniziano anche a Licata gli anni bui del fascismo che termineranno il 10 luglio 1943, quando la 3ª divisione di fanteria USA sbarcò sulle coste della Playa, prendendo possesso della città.

Prima la guerra e dopo la crisi dello zolfo (di ottima qualità, ma le cui caratteristiche imponevano l’impiego di tecniche di estrazione divenute poco competitive), determinarono un progressivo impoverimento del territorio, segnando una svolta in senso negativo per le condizioni economiche generali, che spinse molti licatesi ad emigrare verso il nord dell’Italia e verso altri Paesi, soprattutto in Germania, Belgio e Francia e, Oltreoceano, negli USA, in Argentina ed in Venezuela.

Fortunatamente, nonostante una situazione economica disastrata e uno sviluppo edilizio abnorme e non regolato nelle periferie (soprattutto tra gli anni ’70 e ’80), Licata ha conservato gran parte del suo patrimonio artistico, monumentale e naturale, che oggi costituisce la sua ricchezza più grande.
Il clima (temperatura media annua 18ºC, pioggia media annua 430 mm), il mare pulito, e la bellezza del centro urbano ne fanno una tappa da non mancare in un tinerario turistico in Sicilia.
fonte: www.viverelicata.it/
 
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view post Posted on 7/12/2010, 22:45




se durante il fascismo x licata erano anni bui...negli ultimi 50 anni ed in questo periodo che anni su???

unni si ponnu taliari...


mha certe cose che si devono leggere,ti fanno cadere i coglioni x terra

lo sanno che nel primo 900 la nostra citta' era ricca,industriale operosa,e che attraverso porto e stazioni merci,marittima ecc era il polo commerciale della sicilia meridionale, e con lo zolfo che i SIGNORI AMERI..CANI c'hanno tagliato le gambe dopo la loro invasione,perche' il nostro zolfo ha dato spazio a quello loro che risultava purtroppo piu' comptetitivo...la morte di questa citta' e' stata da quel periodo ad oggi.

certi cosi un si ponnu leggiri :angry:
 
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11 replies since 9/4/2010, 17:47   3715 views
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